Internet e la tecnologia sembrano così spendenti che sembrano invincibili, solo destinati al successo e alla fama.
Ma davvero Internet è la tecnologia capace di risolvere tutti i problemi del Mondo? Davvero non ha punti oscuri? Deve vincere per forza?
Ci sono alcune domande che non emergono subito, ma che piano piano si stanno facendo strada nella coscienza delle persone dopo i recenti scandali: Internet ha dei valori e un fine propri? Questo scopo e questi valori sono condivisibili? Non vi si deve opporre resistenza al suo strapotere culturale?
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Lavoro nel mondo digitale da poco meno di 20 anni e devo dire che di cose ne ho viste tante, alcune hanno cominciato persino ad inquietarmi. Mi sorprendo sempre più spesso ad interrogarmi sul futuro della mia vita attaccato a queste mode digitali che spesso e volentieri di fanno correre dietro dei miraggi facendoti concretizzare ben poco di quello che promettono.
Proprio pensando a queste cose, qualche mese fa mi sono imbattuto in un libro che mi ha colpito per il titolo: “L'ideologia di Internet: Dalla A di App alla Z di Zipcar”.
Il titolo di questo ebook e la sua copertina mi hanno colpito e l’ho comprato.
Mi sono ritrovato a leggerlo tutto di un fiato perché alla fine era il riassunto perfetto di molte delle cose su cui mi interrogavo da tempo e allo stesso tempo mi ha aperto gli occhi su molte altre che ignoravo completamente.
In poco tempo ho contattato l’autore, Massimo Moruzzi che è stato disponibilissimo a fare due chiacchiere per raccontarci come è nata questa idea di un ebook così semplice ma così significativo.
Per chi non consocesse Massimo Moruzzi, Massimo ha iniziato ad occuparsi di web nel 2000 lavorando a ciao|com, l'unica dot-com al mondo senza dot.
Ho poi ha lanciato Meetic, la famosa piattaforma di dating, in Italia, e lavorando per molte altre piccole startup e vivendo in molti Paesi fra cui Italia, Svezia, Danimarca e Spagna.
Massimo ha lanciato Transit, app canadese per i mezzi pubblici, a Milano e a Roma, ma adesso sta cercando di capire cosa fare da grande, perché in effetti si sta rendendo conto che forse è diventato un po' troppo critico nei confronti del settore per voler continuare ad investire energie in questo ambiente.
Sono almeno 20 anni, dalla bolla di fine anni '90, che ci dicono che diventeremo ricchi col web.
Ma non tutti.
Internet si è rivelato essere uno dei principali fattori – assieme alle Borse, alla diminuzione delle tasse per i famosi “job creators” e all'evasione fiscale sistematica – che hanno portato i ricchi a diventare più ricchi (e i poveri a diventare più poveri).
Ora ci vogliono far credere che non è così, e che anzi si deve continuare sulla stessa strada.
L'ideologia di Internet è l'ideologia del mercato nella sua versione americana più spinta.
L'urbanista e attivista americana Jane Jacobs diceva che gli americani non si dovevano sforzare quanto gli altri popoli per cercare di capire il significato della vita. Per loro era molto chiaro: produrre, spendere e guidare un'automobile. Oggi aggiungerei: e anche essere “digitali”.
Sembra, in altre parole, che qualunque cosa “digitale” debba portare benefici alla società.
Forse sarebbe il caso di chiedersi se è così oppure no.
Per me l'ideologia di Internet è l'ideologia del mercato ma vestita a festa:
vestita di progresso, web, social, telefoni che costano come uno stipendio, app etc.
Poi c'è una specie di corsa continua per farci credere che la nuova moda è quella giusta.
Groupon, per dire, non è più sulla bocca di nessuno.
Invece a Milano adesso è di moda farsi portare a casa la pizza o il cibo cinese.
Ma è questo, il “futuro” che ci porta Internet?
Quedte società, tipo Foodora, Glovo, Uber Eats o Just Eat, parlano di “lavoratori indipendenti”;
in verità, è “lavoro servile”, come avrebbe detto André Gorz.
Ma funziona tutto via app (e con le consegne in bicicletta, spesso sui marciapiedi).
Quindi è cool, almeno secondo quelli che io amo chiamare i “tecnopaninari” 🙂
È essere coscienti della cosa e cercare punti di vista diversi, anche se non è facile.
Prendi Facebook: io odio lo “stream”, quest'idea che le notizie mi vengano “spinte”.
Ho fatto alcune prove, e ho visto che meno persone, pagine e gruppi “seguivo”,
e più il sistema trovava cose assurde e che non mi interessavano da farmi leggere.
Tipo le foto del matrimonio di un amico di un mio amico. Che neppure conosco.
Ma non importa.
Se fai un clic, guardi delle foto e ci passi (perdi) del tempo, ha vinto Facebook.
L'unico modo di vincere è di fare “unfollow” a tutti.
Ora, i tuoi ascoltatori sono probabilmente meno antisociali di me, ma io farei almeno
“unfollow” a tutte le “pagine”, in particolare a quelle “politiche”, ancor più se “strane”.
Una delle cose più ridicole e assurde delle elezioni presidenziali americane vinte da Trump
è stata quella di avere teenager di Veles, una cittadina di 45.000 persone in Macedonia,
che facevano credere le fake news più assurde a elettori non troppo svegli dell'Ohio...
Esatto: è il male se lo fanno Trump o quelli del Brexit; è “progresso” se lo fa Obama.
La vedremo in Italia? Non so; io voto per il M5S, ma non ho apprezzato molto l'articolo di Davide Casaleggio sul Washington Post in cui si bulla di quanto hanno speso per ciascun voto ottenuto...
In generale, direi che se si fa vedere un messaggio diverso a ogni elettore, non è bello.
Lo scorso autunno ho passato 100 giorni con le stampelle per una microfrattura a una gamba e ho finito per leggere davvero tantissimo. Avevo, inoltre, degli appunti mai pubblicati.
Insomma, iniziava a sembrare un libro.
E visto che avevo tanti temi di cui volevo parlare e volevo comunque che fosse agile e veloce da leggere, ho pensato di provare a scrivere una storia sotto forma di dizionario.
I Big Data sono gli affaracci nostri, cosa cerchiamo su Google, cosa condividiamo su Facebook, Instagram e Twitter, dove siamo (il tuo telefono lo sa), a chi telefoniamo o mandiamo messaggi etc, che finiscono sul mitico “Cloud”, ovvero sui server di un'azienda americana che ci profila per venderci agli inserzionisti pubblicitari. Però è tutto così scintillante, moderno e americano!
A volte penso che chi è del settore si preoccupa poco perché pensiamo che siano i Big Data degli altri, di quelli a cui magari vorremmo mandare un messaggio pubblicitario...
E non capiamo che sono anche i nostri.
La Silicon Valley ama la condivisione delle risorse. Purché siano risorse altrui.
Ad esempio: File MP3 piratati, la tua auto, ferma parcheggiata per il 95% del tempo, una stanza extra o un divano a casa tua, un trapano che hai comprato e mai usato etc.
Si può “monetizzare” tutto. E lo si fa. Non sto dicendo che sia necessariamente un male.
Le auto, ad esempio, ferme per il 95% del tempo e abbandonate sul suolo pubblico (a Milano sui marciapiedi), gridano vendetta. Però siamo sicuri che il car sharing sia la soluzione?
Prendi car2go: apro la loro app e leggo: “Proud to share”.
Bene. Ma non è poi un autonoleggio?
Cosa penseremmo se dicesse la stessa cosa Hertz, o Avis?
E se parlasse di “tram sharing” ATM o ATAC?
Milano si è auto-proclamata “capitale dello sgaring”.
Ma cosa abbiamo risolto, con 2 mila auto in “sharing” quando ve ne sono 700 mila dei milanesi e almeno altrettante che entrano a Milano da fuori città tutti i giorni lavorativi?
Insomma, forse non tutti i problemi possono essere risolti col mercato e con la tecnologia.
Se vogliamo essere ottimisti, la disruption è la “distruzione creativa” di Schumpeter.
E' il modo in cui l'economia capitalista muta, eliminando inefficienze vere e supposte tali e progredisce. Però dovremmo chiederci: tutto ciò che vince grazie al mercato è “progresso”?
Non è possibile che alcune aree di opacità possano salvarci dall'efficienza del mercato?
Se guardiamo agli Stati Uniti, dove la disruption e il mercato regnano sovrani e da almeno un secolo, non mi sembra di poter dire che sia stato solo progresso. Non per tutti, in ogni caso.
Forse sarebbe il caso di ammettere che Internet è stato un potente fattore di concentrazione di potere economico in sempre meno mani. E questo non mi pare un grande progresso.
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Lo so, l'ultima parte della puntata si sente meno bene della prima. Ho avuto un problema tecnico che sto cercando di analizzare. Ti chiedo scusa di questo calo di qualità, ma preferisco uscire con la puntata e non rimandare. In questo periodo la mia vita ha subito un'accelerata che mi costringe ad essere più indulgente del solito sul mio lavoro con il podcast.