Data-driven è un approccio basato sui dati. Si prendeno decisioni con delle evidenze scientifiche in mano.
Negli ultimi anni si è rafforzata l'idea che le aziende Data-Driven, guidate dalla conoscenza dei dati, siano più performanti. Probablimente è così.
Ora il problema però è: come si diventa un'azienda Data-Driven?
Da dove si prendono i dati e quando costa basare le proprie decisioni sui dati?
Trasformarsi e cambiare approccio non è mai semplice, specialmente quando la cultura delle informazioni è davvero scarsa fra i manager italiani.
Ecco perchè ho invitato William Sbarzaglia, un Data Scientis che aiuta le azienda a far diventare informazioni i dati che già hanno nei loro sistemi, per aiutarci a capire quando sia conveniente iniziare a prendere decisioni basandosi su evidenze e non sentimenti.
Per rispondere subito alla domanda, ovvero perché i dati sono un problema, direi perchè non c’è ancora abbastanza cultura e ovviamente competenza.
Ma nel momento in cui c’è la giusta formazione e trasferimento dei concetti base dell’analisi dei dati, allora diventa facile attribuire la giusta importanza e visione dei benefici che si possono ottenere.
Io stesso anni fa per essere efficace nel far comprendere, ad eventi o a livello commerciale, il perché analizzare i dati relativi al comportamento degli utenti, facevo vedere come diventava chiaro e lampante dove allocare il budget per azioni e campagne. In sostanza utilizzavo la leva dei soldi! Che in alcuni casi significava letteralmente “non buttarli via” o ottimizzare le risorse per ottenere di più.
Ora direi che c’è stata un'evoluzione e si deve parlare di data driven, sia in ambiti e realtà molto piccole sia in multinazionali o grossi brand, perché prima di tutto il data driven è un approccio e l’approccio non ha costi!
L’approccio data driven significa ragionare in una modalità in cui possiamo continuare ad avere delle intuizioni o delle idee, ma supportate dai dati, guidate e tenute sotto controllo da indicatori di performance, i nostri KPI.
Questo tipo di approccio e relativa applicazione ha fatto sì che alcune realtà che tutti conosciamo siano diventate dei colossi, come ad esempio Booking.com che ha abbracciato in maniera ampia il data driven in modo da partire dalla base della piramide decisionale fino ad arrivare a chi deve “scegliere” se fare o meno una cosa. Ma così diventa facile prendere decisioni e ovviamente anche in maniera più veloce.
Altra precisazione sulla differenza tra data-driven e data-informed: a mio avviso si tratta di un’evoluzione, ovvero un buon processo data-driven deve essere data-informed. Quindi ci deve essere la possibilità di tenere in considerazione le esperienze precedenti, quello che è successo, quello che ha funzionato o meno, quello che ha portato dei risultati e fare tesoro prezioso degli errori commessi.
Sicuramente un grosso limite in Italia è ancora quello di pensare che se le persone sbagliano siano incompetenti, mentre è normale inserire in un processo data driven o meglio data-informed la possibilità di “sbagliare”, o meglio di sperimentare e di tenere sotto controllo il processo per capire subito se fermarsi, tornare indietro, cambiare o andare avanti veloci per cavalcare l’idea di business vincente.
Anche qui faccio un paio di precisazioni, in particolare tra user journey e customer journey, perchè quando siamo in una situazione di analisi di un utente solo sul digitale come un sito web, un e-commerce o una LP, allora siamo nella situazione della user journey, ovvero il percorso che fa l’utente verso la meta finale, sia essa la conversione, un acquisto, una richiesta di preventivo, un'iscrizione ad un corso o ad un evento.
Mentre quando lo scenario è più ampio e abbiamo anche delle situazioni offline e interazioni dirette con delle persone, allora siamo nell’ambito della customer journey.
Il concetto è sempre lo stesso, cioè vogliamo mappare il percorso che fanno gli utenti verso in nostro servizio, il nostro prodotto, il nostro brand.
E qui il CRM diventa fondamentale perché dopo tanti sforzi e investimenti, dobbiamo curare il nostro contatto, che sia un prospect o un lead molto interessato. Quindi il CRM diventa fonte di dati essenziale per sapere cosa fare e con chi, grazie a dati non solo quantitativi ma anche qualitativi come ad esempio gli interessi specifici di quella persona, quali esigenze ha, e di conseguenza quali problemi posso risolverle. In sostanza con un buon lavoro si possono segmentare e accorpare dei profili per farli poi coincidere con le buyer personas.
Ad esempio io lavoro molto nell'automotive e in un processo di customer journey è importante mappare e concentrarsi su segmenti specifici di contatti come ad esempio i già clienti di una concessionaria che potenzialmente possono riacquistare una nuova auto dello stesso brand dopo lo scadere di un programma di finanziamento di 3 anni.
Al contrario di quello che qualcuno può pensare, la parte più impegnativa non è l'implementazione tecnica, ma la progettazione.
Nella stragrande maggioranza dei casi, il problema non è ottenere i dati, ma far si che siano presenti delle situazioni progettate dallo UX designer o dal CX (customer experience) designer, in modo da identificare a che punto è l'utente nel processo che abbiamo progettato.
Per agevolare questo processo ho messo a punto un metodo che ho chiamato “User Journey Analytics System” e che ho presentato in anteprima al Marketing Analytics Summit a novembre 2019.
Questo metodo permette di:
A questo punto diventa facile perché nel momento in cui i dati vengono rappresentati in una forma logica e sequenziale, quindi non dei “report” per sapere cosa è successo, otteniamo una mappatura in tempo reale che ci permette di comprendere il comportamento dell’utente, i KPI nei vari touchpoint e suggerire infine le eventuali azioni correttive o migliorative.
Qui ci possono essere varie situazioni, come anticipavo possiamo avere la necessità proprio di inserire dei touchpoint perché magari abbiamo impostato una strategia troppo brutale, ovvero abbiamo progettato un funnel troppo breve e non abbiamo dato elementi a sufficienza all’utente per ottenere le giuste informazioni che gli permettano di proseguire verso la parte bassa del funnel, ovvero la conversione.
Probabilmente non abbiamo differenziato i vari percorsi, quindi non stiamo soddisfacendo in maniera personalizzata i vari segmenti di pubblico; in questo caso potrebbe essere utile e strategico differenziare i percorsi per utenti “avanzati” o “livello base” : proprio in questo periodo sto facendo una consulenza ad una realtà che offre soluzioni CRM e BPM, quindi potrebbe essere importante creare un percorso e quindi contenuti specifici per spiegare cos’è il BPM (Business Process Modelling).
Altra azione tipica è la marketing automation attivabile nei touchpoint in cui ritengo strategico azionare degli automatismi per migliore la CRO (conversion rate optimization), oppure innescare processi di nurturing per mantenere il contatto con i clienti attraverso sistemi di DEM.
Continuo a mappare, ad usare in maniera ciclica l’approccio data driven, a valutare se esistono scenari che erano sfuggiti o se effettivamente l’utente sta seguendo il percorso che si era progettato.
E, perchè no, attivare anche degli alert sia come KPI super positivi o situazioni di allarme.
Prima di tutto non mi hai fatto la domanda fondamentale, ovvero “quanto costa?” 🙂
È importante dire che una delle cose belle di questo approccio e anche del metodo che ho ideato, è l’estrema scalabilità e adattabilità sulle dimensioni e tipologie del business.
Il tutto incide in termini di miglioramento delle performance, degli obiettivi, qualunque essi siano, di vendite, fatturato, acquisizione lead, richieste di preventivo, iscrizione ad eventi, corsi o brand awareness...
Vi faccio qualche esempio: questo metodo l’ho insegnato a grossi brand o multinazionali, ma è applicabile anche in realtà piccole come un freelance che vuole migliorare la propria user journey sulla landing page che promuove il suo nuovo corso. Inoltre mi è capitato di applicarlo ad una azienda che organizza viaggi itineranti in bicicletta e il risultato è stato quello di poter individuare facilmente le mete che avevano dei kpi intermedi non soddisfacenti. Questo ha permesso di non aspettare semplicemente i risultati in fondo al funnel, ma di effettuare analisi predittive in modo da intervenire per migliorare le performance e quindi migliorare il proprio business.
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